Il lusso e l’abrogazione della Lex Oppia
L’unica realtà in cui i romani consideravano lecita l’azione femminile era quella limitata alla domus, ma anche in questo spazio le donne non avrebbero dovuto occuparsi di politica; secondo il mos maiorum la donna doveva essere moglie e madre ed era considerata alla stregua di un bene che il pater familias controllava e che con il matrimonio passava dal padre al marito e diveniva parte della sua familia a cui andavano anche i suoi averi.
Le donne non potevano partecipare alla politica, solo come madri e mogli avevano la possibilità di “influenzare” gli uomini, ma all’inizio del II secolo a.C. un gruppo di nobili e ricche matrone protestarono contro una decisione del Senato che giudicavano inutilmente vessatoria.
Nel 195 a.C. i tribuni Marco Fundanio e Lucio Valerio proposero l’abrogazione della lex Oppia emanata nel 215 a.C. alla vigilia della II Guerra Punica quando le casse dell’erario erano state svuotate e si decise di imporre unna tassazione ai patrimoni femminili partendo da una limitazione nell’ostentazione estetica dell’opulenza; nelle conseguenze più evidenti la legge limitava la quantità d’oro che le donne potevano possedere, stabiliva il tipo di abbigliamento ed i mezzi di trasporto che potevano avere; nella sostanza impose una forte tassazione ai patrimoni delle matrone romane.
Se è vero che nelle famiglie patrizie era sempre un uomo che deteneva il manus, poteva accadere che quando il pater familias, o comunque colui che deteneva il manus, moriva affidasse la moglie e/o la figlia ad un tutore ma nel testamento poteva dare alla matrona la tutoris opto, ovvero la facoltà di scegliersi il tutore, con la conseguenza che le donne potevano cambiare il loro tutore finchè non trovavano chi rispettava ed esaudiva i loro desideri e volontà; di questa norma ci sono testimonianze nel 186 a.C. ed è quindi presumibile che risalga già almeno al III sec. a.C..
Le guerre di conquista avevano portato grandi ricchezze alla famiglie patrizie e queste indulgevano nell’ostentazione soprattutto per differenziarsi dalla nuove famiglie ricche che si trasferivano a Roma dalle provincie, ma sicuramente vi era anche il compiacimento estetico dell’apparire.
Plinio, nella sua Naturalis Historia, si lamenta di alcune grandi conquiste come quella di Scipione l’Asiatico e di Manlio che avevano scatenato la corsa al possesso di vesti preziose, dell’argento sbalzato e dei letti tricliniari di bronzo delle corti ellenistiche.
Quando i due tribuni proposero l’abrogazione della lex Oppia si levò altissima e contraria la voce di Marco Porcio Catone che nel 195 era uno dei consoli in carica. La proposta di abrogazione era stata accolta con esultanza dalle ricche donne patrizie che erano libere di disporre del loro patrimonio ma quando Catone indusse il Senato a respingere la proposta, come riferisce Valerio Massimo, si scatenò un ordo matronarum che scese nel Foro e pose l’assedio al Senato.
La società romana privilegiava l’uomo a cui spettavano tutte le posizioni di rilievo, gli onori ed il potere, tuttavia già nel II secolo si stava delineando una situazione di fatto che divenne evidente nel I secolo a.C.: le ricchezze delle famiglie patrizie erano sempre più nelle mani delle matrone. Nel II secolo a.C. erano circa 20 le famiglie nelle cui mani era concentrato il potere e la ricchezza di Roma e in gran parte gestite dalle matrone rimaste vedove od orfane , circa un migliaio di donne senza una professione ma che, con la loro ricchezza erano in grado di influenzare la vita sociale.
Le donne chiesero che la discussione della legge avvenisse non dentro la Curia, ma nel Foro dove avrebbero potuto assistere e poiché gli altri due tribuni della plebe Marco Giunio Bruto e Lucio Giunio Bruto non erano d’accordo, assediarono le loro case finchè fu accolta la loro richiesta.
La difesa della Lex Oppia fu fatta da Marco Porcio Catone dove è evidente che la legge non aveva più la finalità per cui era stata emessa:
“Questo non è che uno, e dei minori, tra i freni che le donne mal sopportano di vedersi imporre dalle usanze o dalle leggi. Ciò che desiderano è la libertà o, se vogliamo chiamare le cose con il loro nome, la licenza in tutti i campi. Che cosa non tenteranno, se otterranno questo?”
Le ragioni delle donne sono riassunte in uno dei passi del discorso di Lucio Valerio:
“... poiché a te uomo è permesso ornare con la porpora la tua praetesta, forse alla tua madre di famiglia non concederai di avere una veste purpurea, e sarà forse il tuo cavallo bardato in maniera più bella di quanto non sia vestita tua moglie”.
Alla fine del confronto la lex Oppia fu abrogata con il voto unanime di tutto il Senato.
La lex Oppia è forse la più famosa delle leggi suntuarie ma dopo la sua abrogazione il Senato quasi ogni ventennio emise una legge suntuaria con il fine di moralizzare i costumi delle classi abbienti romane che con l’inizio delle guerre di conquista in Oriente e l’arrivo degli oggetti preziosi erano sempre più propensi all’adozione dello stile di vita delle civiltà orientali fortemente connotate dal lusso; le nuove abitudini ed il nuovo stile di vita si scontrava con lo spirito e dei valori della romanitas che Augusto, due secoli più tardi, cercò di recuperare anche con leggi decisamente anacronistiche.
di M.L. ©RIPRODUZIONE RISERVATA (Ed 1.0 - 11/09/2015)
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