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Porfido marmo imperiale


Gli imperatori romani avevano una predilezione per il porfido, il marmo rosso che si estraeva dal Mons Porphyretes, una cava che si trovava nel deserto orientale egiziano e la sola da cui si estraeva il porfido viola.
Il primo ad essere affascinato dalla bellezza del porfido era stato Giulio Cesare che nella reggia alessandrina di Cleopatra aveva potuto ammirare le stanze in cui

"si ergevano solide e intere / masse di agata e porfido".

Le cave del Mons Porphyretes divennero proprietà personale dell’imperatore da quando nel 31 a.C. Augusto, dopo aver sconfitto Marco Antonio e Cleopatra ad Azio, decretò che la provincia d’Egitto era di esclusiva proprietà imperiale.

Non troppo lontano (50 km) dal Mons Porphyretes vi era anche la Cava Claudiana, da cui si estraeva la granodiorite che fu molto utilizzata a partire dal I sec. d. C.; colonne in granodiorite sono quelle del Pantheon a Roma e del tempio di Venere, ma il materiale veniva anche usato per vasche e pavimenti.
Nella cava del Mons Claudianus sono visibili ancora dopo 2000 anni i segni dell’attività svolta nelle cave di cui è una testimonianza una colonna alta 18 m. e con diametro di 2 m che si stima pesi più di duecento tonnellate e che evidentemente non fu possibile trasportare.
Le cave del Mons Porphyretes sembra furono abbandonate nel 451.

La grande fortuna del porfido si ebbe dalla fine del I sec. d.C.; Augusto non voleva la diffusione di simboli del lusso ed anche Tiberio non ne fu interessato, bisogna attendere Nerone con un primo impiego rilevante del porfido nella dimora imperiale. Con Vespasiano per distaccarsi dalla luxuria di Nerone, intesa come il lusso inutile, ci fu il ritorno a materiali lapidei meno pregiati; anche Plinio il Vecchio nella sua Naturalis Historia libro XXXVI è contrario al lusso inutile e denuncia le violenze fatte alla natura erodendo le montagne. Plinio tratta poi un argomento che fu molto discusso già durante il principato di Augusto, ovvero la contrapposizione tra quanto era straniero e quanto era italico nei materiali metallici, ma anche soprattutto nei marmi.
Il contatto con la cultura e l’arte ellenistica surclassarono i materiali italici, legno e terracotta lasciarono il posto al bronzo ed al marmo; lo sfruttamento delle cave passò tutto sotto il controllo degli imperatori che potevano anche servirsi di appaltatori ma nessuno aveva tanti schiavi come loro da poter impiegare. E’ al tempo di Tiberio che cominciarono ad arrivare a Roma i grandi blocchi, in genere semilavorati che venivano poi rifiniti a Roma da scalpellini romani o più spesso ellenici che avevano portato la loro arte nella capitale dell’Impero.
Vennero realizzate in questo periodo le statue di porfido come l’Apollo Citaredo ( ora al Museo Archeologico di Napoli) e la statua acefala di Togato esposta all’interno della Curia Julia al Foro Romano.

Il porfido è comunque un marmo molto duro ed il suo impiego fu in prevalenza nelle decorazioni murali e pavimentali, o nei labra come quello che doveva esserci tra la Basilica di Nettuno e l’Hadrianeum che doveva avere un diametro di quasi 4 metri e di cui è stato ritrovato in grande supporto, ora conservato all’Antiquarium del Celio, od anche il labrum integro che ora funge da vasca lustrale nella Cattedrale di San Zeno a Verona ed ancora il più grande ed il più bello, il labrum ricavata da un unico blocco di porfido ritrovato nel 1900 dall’archeologo Lanciani davanti alla Curia nel Foro Romano ...



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di M.L. ©RIPRODUZIONE RISERVATA (Ed 1.0 - 04/03/2016)