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Cammei gioielli Antica Roma


Quando a Pompeo Magno fu concesso il Trionfo per aver sconfitto Mitridate, dietro il carro i romani poterono ammirare l’enorme tesoro del Re del Ponto del qual facevano parte anche “pietre preziose da riempire nove tavolini“, così ci racconta Plinio Seniore. L’aristocrazia romana fu conquistata da quelle pietre preziose e molti furono anche coloro che iniziarono a collezionarle, primo fra tutti Scauro, figlio della moglie di Silla, ma anche Cesare e poi Augusto.

A Roma già si lavoravano le pietre preziose dal III sec. a.C. ma con la conquista dell’Oriente da parte di Roma, anche i gemmari delle corti orientali vi si trasferirono. Nel III a. C. la glittica si era diffusa sulla scia dei modelli etruschi e greci del sud Italia presso le famiglie patrizie e dei cavalieri appassionati di mitologia greca e leggende locali si facevano realizzare ciondoli ed anelli. Nel II a. C. cominciarono ad arrivare cammei di provenienza orientale e la produzione italica cominciò ad adottare modelli ellenistici nei soggetti; nel I sec. a.C. arrivarono i gemmari orientali che erano veri e propri artisti, le pietre che maggiormente usavano erano la sardonica, l’agata e l’onice.
Dai ritrovamenti che sono stati fatti sono stati individuati i nomi di 28 artisti, tutti greci; Plinio racconta di “colui che scolpì un ritratto perfettamente somigliante del divino Augusto, usato da allora in poi dagli imperatori come sigillo, e cioè Dioscuride”. Plinio il Vecchio dedicò un intero libro il XXXVII alla trattazione delle gemme e delle pietre preziose.

Per i romani i cammei erano oggetti riservati quasi esclusivamente alle matrone che arrivarono a farne un uso eccessivo tanto che Ovidio si lamentava “Ci lasciamo sedurre dalla raffinatezza; tutto si ricopre d’oro e di gemme e la fanciulla è di sé minima parte. Spesso potrai domandarti dove sia, tra tanti ornamenti, ciò che ami”. Gli uomini portavano un solo gioiello, l’anello, simbolo di potere e di distinzione sociale su cui invalse l’abitudine di incastonare cammei decorativi ed intagliati che potevano essere usati come sigilli. Il primo uso delle pietre preziose, opportunamente intagliate, è stato proprio quello: il sigillo; il “signum” si usava per firmare anche documenti importanti e veniva preferito alla firma anche per un fine pratico, perché non tutti sapevano leggere.
Molti famosi uomini di Roma avevano un anello in cui era intagliato il loro “signum” distintivo; celebre il sigillo di Silla dove “l’incisione rappresentava Bocco che consegnava Giugurta e Silla che lo prendeva”, di Pompeo “nel quale era impresso un leone armato di spada”. Plinio racconta come la scelta del sigillo doveva essere attenta per non creare confusioni od ironie e riporta l’esempio di Augusto che “... agli inizi del suo principato usò sigillare con la Sfinge: aveva trovato due sigilli di questo tipo e molto somiglianti tra loro tra gli anelli di sua madre ... i destinatari scherzavano dicendo che quella Sfinge portava enigmi” in seguito, per evitare le ironie provocate dalla sfinge, usò un sigillo con l’effige di Alessandro Magno.

La gemma-sigillo, oltre ad essere uno strumento giuridico, era anche un mezzo di propaganda politica: il motivo che era inciso rappresentava il suo possessore e le sue aspirazioni.
Augusto ne fece uno strumento anche per affermare anche le prerogative regale della sua dinastia; da allora vennero realizzate su pietre di grandi dimensioni ed a più strati delle rappresentazioni con molti personaggi posti su diversi livelli come nel grande cammeo definito “Apoteosi dell’Imperatore Augusto” dove è rappresentata tutta la famiglia julio-claudia nel 23 a.C. durante il regno di Tiberio con posizioni che rispecchiano anche la linea di successione e che secondo le moderne interpretazioni dei personaggi rappresentati riapre molte interrogativi sulle dinamiche familiari e dinastiche ...



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di M.L. ©RIPRODUZIONE RISERVATA (Ed 1.0 - 12/11/2015)