Ustrinum Hadriani
Nell’inverno del 1867 Lanciani credette di aver trovato i due templi di Dite e Proserpina, mentre aveva ritrovato l’Ustrinum di Adriano, l’area sacra dove il corpo dell’imperatore era stato cremato.
Nella Tabula X delle XII Tavole delle Leggi del 490 a.C. era scritto:
Hominem mortuum in urbe ne sepelito ne urito
Non si seppellisca né si cremi all’interno della città alcun morto
La legge imponeva che le tombe fossero poste fuori dal recinto sacro dell’Urbe, il Pomerio, ma le modalità di conservazione del corpo erano libere; in età arcaica erano usate sia l’inumazione che la cremazione ma già a partire del I secolo a.C. si diffuse sempre più l’uso della cremazione che nel II sec. divenne pratica generalizzata tanto che l’inumazione costituiva quasi l’eccezione. Furono così istituiti gli ustrina, aree sacre dove si innalzavano le pire per la cremazione dei corpi.
Gli imperatori romani furono quasi tutti cremati ma già prima altri grandi alla loro morte lo furono, così avvenne per Giulio Cesare ed anche Gaio Mario era stato cremato. Fu Augusto che formalizzò i rituali connessi alla celebrazioni del funus e tutti dovevano avvenire in Campo Marzio in quanto fuori dal recinto sacro del Pomerio. Il rito era finalizzato alla crematio, atto con cui si realizzava la divinizzazione concessa dal Senato solo a coloro che avevano protetto, aiutato od accresciuto la potenza di Roma.
L’ustrinum, il cui significato deriva da urere ovvero bruciare, era il recinto sacro dove non solo era avvenuta la cerimonia di cremazione ma si era avverato un mistero, l’imperatore si era levato in cielo, si era trasformato in dio, un dio minore che veniva chiamato divus. La natura divina che il defunto imperatore aveva assunto richiedeva che il luogo dove era avvenuto il mistero della trasformazione fosse in qualche modo preservato, per questo motivo venivano costruiti gli ustrina. Gli ustrina erano dei monumenti molto particolari che si costruivano solo dopo che era avvenuta la cremazione.
Che la costruzione avvenisse tempo dopo la cerimonia funebre si spiega non solo con i tempi necessari per costruire un tale monumento ma anche con il cerimoniale per il quale la cremazione dell’imperatore doveva avvenire alla presenza di tutto il popolo di Roma.
Ma il funus di Adriano fu particolare perché l’imperatore era morto a Baia dove si era ritirato già da qualche mese per combattere l’aggravarsi della malattia di cui soffriva: l’idropisia pleurica. La morte avvenne il 10 luglio del 138 d.C. e probabilmente, per le condizioni del corpo e la stagione calda, la pira funebre fu fatta dopo appena uno o due giorni nella villa di Pozzuoli che era stata di Cicerone. Gli onori al defunto imperatore furono tributati con il funus imaginario in cui il cerimoniale del rito prevedeva che, senza le spoglie mortali, la cerimonia della consacratio si svolgesse con la deposizione sulla pira di un manichino di cera a cui erano state date le sembianze dell’imperatore; non importava che i resti del corpo fossero già nel mausoleo, per la cerimonia della consacrazione bastava che fosse presente una sua emanazione. Tra l’altro che sulla pira ci fosse un corpo del quale alla fine del rito non sarebbe rimasto nulla era una evidenza per tutto il popolo che effettivamente l’imperatore defunto era stato portato nell’Olimpo. Proprio per questo tipo di rito, dal funus di Adriano in poi non si ci fu più il rito degli ossilegia, ovvero la raccolta tra le ceneri dei frammenti ossei del corpo ...
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di M.L. ©RIPRODUZIONE RISERVATA (Ed 1.0 - 26/04/2016)
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