Il Trionfo
Il trionfo era il massimo riconoscimento per un capo militare romano e, secondo la tradizione, il primo ad essere celebrato a Roma fu quello di Romolo per la vittoria che aveva riportato sui Ceninensi. Nella lunga storia di Roma furono decretati 320 trionfi e l'ultimo di cui si ha notizia è quello di Belisario che però si svolse a Costantinopoli.
Gli storici sono tutti d'accordo su un'origine etrusca del trionfo, un rito che i romani quindi avrebbero assimilato dopo la contaminazione con la popolazioni cerite e l'arrivo dei Tarquini e che in origine celebrava l'epifania, la manifestazione del re degli dei che nel rituale romano era identificato con Giove Ottimo Massimo.
Per gli Etruschi il dio a cui dedicare il trionfo era Veltumna, che i Romani chiamarono Vertumnus, perché secondo quanto spiegava Terenzio, era il il solo che aveva il potere di far andare gli eventi secondo i desideri di chi lo pregava; era il Dio che poteva influire sul buono o cattivo andamento della fortuna. Non sarebbe quindi un caso che il percorso della via triumphalis dopo la partenza dal Circo Flaminio, piegava verso l'Aventino, passava davanti alla tomba di Tito Tazio, e poi per scendere verso il Circo Massimo doveva “vertere” proprio davanti alla statua di Vertumnus; era una rimembranza del rito arcaico con cui si celebrava Veltumna, il Dio guerriero etrusco.
Questo correlazione tra Veltumna e l'ideologia del trionfo è testimoniata dal riferimento epigrafico del donario del console Fulvio Flacco, il conquistatore di Volsinii:
Una conferma indiretta dell'origine etrusca viene dalle testimonianze letterarie che raccontano come dopo la conquista di Veio ed il trasferimento sull'Aventino dei simulacra di Iuno Regina nel Tempio che il conquistatore aveva eretto in suo onore, nello stesso tempio ci fosse anche l'effigie di Fulvio Flacco, conquistatore di Volsinii, vestito della toga purpurea. Nel tempio costruito sull'Aventino per i simulacra di Iuno Regina non è escluso che passassero i condottieri a cui era stato concesso il trionfo, fatto che giustificherebbe la presenza dell'effigie di Fulvio Flacco con la toga purpurea secondo l'usanza etrusca quando i lucumoni trionfanti andavano a ringraziare la loro dea nel suo tempio a Veio.
Il passaggio da Vertumnus a Giove come dio a cui offrire la vittoria già fu realizzato dagli Etruschi e gli storici ne hanno trovato conferma nel cosiddetto “Specchio di Tuscania” dove in corrispondenza dell'immagine con le sembianze di Tinia, il corrispondente etrusco del romano Giove, si trova la didascalia “Veltune”, una delle molteplici corruzioni del nome del dio di cui gli studiosi stanno ancora cercando di individuare l'evoluzione diacronica e/o diatopica.
Nonostante l'accertata origine etrusca della celebrazione del trionfo rimangono alcune zone d'ombra risalenti all'età dei Re perché se il Re Numa Pompilio, il re pacifico, non fece guerre e quindi non celebrò trionfi, già il suo successore Tullo Ostilio come racconta Dionigi d'Alicarnasso celebrò ben tre trionfi.
Anche Tarquinio Prisco celebrò alcuni trionfi come quello per la vittoria sui Tirreni conseguita nei pressi della città sabina di Eretum; proprio per l'origine etrusca del re alcuni considerano questo come il primo vero tronfo celebrato a Roma anche perché è il primo per cui le fonti fanno riferimento alla concessione dell'onore da parte del Senato, elemento che indica una formalizzazione del rito.
Il primo trionfo di età repubblicana venne celebrato a Roma il primo marzo del 509 a.C e fu quello di Publio Valerio Publicola vittorioso nella battaglia della Selva d'Arsia in cui i Tarquini sebbene aiutati dagli etruschi furono sconfitti ed allontanati per sempre da Roma.
Il nuovo governo repubblicano continuò a celebrare i suoi generali vittoriosi secondo i riti che i re etruschi avevano portato a Roma e fu normale che Publio Valerio Publicola celebrasse il suo “trionfo” proprio come avevano fatto Anco Marzio ed i Tarquini. Dionigi di Alicarnasso riferisce che il trionfatore indossava, secondo il costume etrusco la tunica palmata, la toga picta, lo scettro, la corona aurea con foglie di quercia e gemme non indossata ma sorretta sulla testa da uno schiavo, la bulla aurea ed infine aveva il viso dipinto di rosso minio come quello della statua di Giove Capitolino.
Se è vero che Giove è il dio che favorisce la vittoria, la storia romana racconta che poteva essere onorato in un altro tempio a lui dedicato, quello arcaico dei prisci latini dedicato a Juppiter Lactiaris che si trovava sul Mons Albanus, la cima più alta dei Monti Albani. Quindi il generale che si era guadagnato il trionfo poteva concluderlo al tempio dopo aaver percorso a piedi tutta la Via Sacra.
Il Trionfo era un onore che veniva concesso dal Senato ma solo quando si verificavano delle condizioni precise: l'impresa militare doveva aver conseguito un ampliamento dei confini del dominio di Roma, le perdite dei legionari dovevano essere contenute ed inoltre dovevano essere uccisi almeno 5.000 nemici; queste leggi che servirono per contemperare le smanie di successo dei generali furono causa di battaglie sanguinose o improvvide. Un caso in cui le leggi furono applicate è raccontato da Valerio Massimo ed ha come protagonisti Quinto Fulvio e Lucio Opimio che pur avendo compiuto delle imprese militari notevoli come aver riconquistato Capua (211 a.C.) o ripreso la ribelle Fregelle ( 125 a.C) si videro rifiutare il trionfo proprio perché la guerra seppure vittoriosa non aveva portato ad un ampliamento dei territori di Roma. Per finire il generale vincitore per poter richiedere il Trionfo al Senato doveva prima essere stato acclamato
imperatordal suo esercito ...
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di M.L. ©RIPRODUZIONE RISERVATA (Ed 1.1 - 06/07/2020)