Artifici culinari nella cena di Trimalcione
Nella Roma imperiale era un importante atto della vita sociale preparare ed invitare ai banchetti; Petronio Arbitro nel suo Satyricon ne offre una rappresentazione satirica nell’episodio della cena offerta da Trimalcione, personaggio di un liberto arricchito che, rozzo ed ignorante, offre il banchetto per poter sfoggiare le sue ricchezze.
Nella Roma di Trimalcione la tavola dei romani era ben diversa da quella dell'età repubblicana, i cibi erano semplici e non abbondanti sia per il rispetto dei valori tradizionali sia perché nel corso del II secolo a.C. vennero emesse delle Leggi Licinie che fissavano il limite di spesa da non superare per la preparazione di un banchetto che però non includeva i prodotti della terra, dai funghi a tutte le verdure e legumi. I cuochi romani inventarono così delle ricette a base di verdure sofisticate ed elaborate, soprattutto nella presentazione.
La cucina di Roma era stata reinventata da Lucullo e poi resa esotica da Marco Gavio Apicio quasi contemporanei essendo il primo vissuto al tempo di Augusto ed Apicio durante il regno di Tiberio di cui frequentava la tavola in quanto era grande amico di Druso Minore e poi amante di Seiano. Alcune delle ricette di Apicio, sicuramente originali al suo tempo, oggi si sembrerebbero normali: patina (omelette), concicla (purè di verdure), minutal (fricassea), ofellae (spezzatini), isicia (polpetta).
Una parte importante erano i cosidetti artifizi che dovevano stupire i commensali. Alcuni erano semplici ma altri erano complessi e prevedevano anche la contestualizzazione dell’ artefizio come nella scena di due schiavi che pareva avessero litigato andando a prendere acqua; Trimalcione fece da arbitro tra i due, ma né l’uno né l’altro accettarono la sentenza e la loro lite riprese a suon di bastonate che finivano sulle anfore che avevano in spalla. Costernati dalla tracotanza di quegli ubriachi i commensali seguivamo la contesa, sorpresi poi dall'apparire dai contenitori di ostriche e molluschi che sarebbero poi stati serviti.
L’opulenza della cena offerta da Trimalcione si annunciava con l’antipasto arrivato su un sostegno in bronzo con le forme di un asinello che nelle bisacce aveva da una parte olive nere e dall’altra olive verdi. Le meraviglie della tavola iniziarono con l’arrivo in tavola di una scultura di legno di una gallina che stava covando, tra la meraviglia dei commensali, uova di pavone che distribuite ai convitati nascondevano al loro interno “nel tuorlo pepato un beccafico bello grasso” , e questi antipasti erano accompagnati da un vino “Falerno Opimiano di cent'anni” versato da anfore da cristallo.
Ma prima di passare ai piatti più importanti, Trimalcione intrattiene gli ospiti con uno “scherzo” che diventa spunto per una sua riflessione “quasi” filosofica:
“... arriva uno schiavo con uno scheletro d'argento, articolato in modo che le sue giunture e vertebre erano disnodate e flessibili in ogni senso. Come lo getta sulla tavola una prima e una seconda volta, e la catena guizzante assume pose diverse, Trimalcione commenta:
« Ahi, che miseri siamo, che nulla a pesarlo è l'ometto!
Così saremo tutti quel giorno che l'Orco ci involi.
Perciò viva la vita, finché si può star bene »
...
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di M.L. ©RIPRODUZIONE RISERVATA (Ed 1.0 - 17/06/2016)
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