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Le Tria Fata, mito arcaico

Le Tria Fata, mito arcaico

Ancora nel basso medioevo esisteva a Roma il toponimo Tria Fata che indicava un sito nei pressi della chiesa di San Lorenzo in Miranda, ospitata nella cella di quello che era stato il Tempio di Antonino e Faustina. Erano le statue di tre personaggi femminili che Plinio il Vecchio menziona e descrive come di tre Sibille le cui statue erano state fatte porre nel Foro e di cui una già dal re Tarquinio Prisco e le altre due da Marco Messalla. Procopio cita il sito quando per raccontare i fatti del Bellum Gothicum egli indica il Tempio di Giano come posto nei pressi della Curia e poco distante dalle Tria Fata, un gruppo statuario in bronzo che secondo lui rappresentava le Moire.
Anche Apuleio aveva menzionato le Tria Fata, intendendo con questo nome chiamare non le divinità greche ma le Parcae romane.
Virgilio riconosce in loro le divinità che hanno deciso il destino di Enea e quindi anche quello di Roma:

sic volvere Parcas
così filavano le Parche

attribuendo alla divinità romane, le stesse specificità delle Moire greche, legittimando così il sincretismo tra divinità arcaiche italiche e divinità greche.
Nella mitologia greca le Moire sono le divinità che controllano il destino degli uomini; nella teogonia di Esiodo sono le tre figlie di Zeus e di Themis, la dea della giustizia ed ognuna di loro ha un compito preciso: Cloto, nome che significa “io filo”, iniziava a filare e perciò stabiliva quando iniziava la vita di un uomo; Lachesi, nome che significa “ ho dalla sorte” aveva il compito di stendere il filo e stabiliva se la vita sarebbe stata breve o lunga ed ancora ricca di soddisfazioni e gloria oppure miserabile; Atropo, nome che significa “l'immutabile, l'inevitabile”, aveva il compito di recidere il filo della vita determinando così la morte. Esiodo così le descriveva:

le dogliose Moire, che infliggono crudi tormenti,
Atropo, Clòto e Làchesi, che a tutte le genti mortali
il bene, appena a luce venute, compartono e il male,
e dei trascorsi le pene agli uomini infliggono e ai Numi.
Né dallo sdegno tremendo desistono mai queste Dive,
prima che infliggano a ognuno la pena com'esso ha fallito.

Come tutte le divinità greche erano capricciose e gli uomini non potevano conquistare il loro favore in alcun modo e la storia mitica che più di ogni altra mette in evidenza la loro peculiarità è quella di Meleagro, il figlio del re degli Etoli e di Altea sorella di Leda. Quando ebbe sette anni si presentarono nel palazzo le Moire e, mentre Cloto e Lachesi predissero uno splendido destino al bambino, Atropo decretò che quando il tizzone che era sul focolare si fosse consumato, egli sarebbe morto; udendo le parole di Atropo, Altea madre di Meleagro prese il tizzone, lo spense e lo chiuse in una cassa.
Il tizzone rimase nella cassa fino a quando Meleagro ormai uomo per conquistare l'amore di Atalanta uccise gli altri pretendenti e tra questi anche i fratelli di Altea che impazzita dal dolore trasse il tizzone dalla cassa e lo gettò sul fuoco; così la predizione di Atropo si avverò anche se dopo molto tempo. Gli umani non potevano sottarsi al destino stabilito dalle Moire.
Secondo Servio, rispettoso dei culti arcaici romani, le Parcae romane avevano delle peculiarità proprie rispetto alle Moire greche. Erano divinità oracolari a cui ci si rivolgeva al momento della nascita per conoscere il destino del nascituro; erano divinità che predicevano, scrivevano e regolavano il corso della vita.
Proprio le capacità oracolari delle Parcae hanno indotto gli studiosi a riconoscere il mistero dell'origine del loro culto e dei significati ancestrali che rappresentava tanto che Dumezil scrisse … Parca (Parcae) restano totalmente misteriose al di fuori delle loro interpretationes graecae ...



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di M.L. ©RIPRODUZIONE RISERVATA (Ed 1.0 - 15/10/2020)