Il tesoro di Massenzio
Nel 1874 durante i lavori per la costruzione delle fognature del nuovo quartiere Esquilino si scoprì un vano interrato nel perimetro del giardino di Villa Palombara che era stata costruita dove nel I secolo d.C. il console Lucio Elio Lamia vi aveva costruito i suoi bellissimi giardini.
Il console Elio Lamia era grande amico dell’imperatore Tiberio e per riconoscenza dei favori di cui aveva goduto durante la sua vita, lasciò la proprietà dei suoi giardini a Roma; gli Horti Lamiani entrarono così nel demanio imperiale tanto che qui a volte soggiornava Caligola che vi fu anche sepolto per un breve periodo dopo la morte.
La villa imperiale era costruita seguendo l’andamento della collina con ninfei e criptoportici realizzati proprio sfruttando le variazioni altimetriche che la rendevano simile alle dimore degli Dei
(Terenzio); fu utilizzata anche dagli imperatori del II e III sec. che continuarono a costruire altri ambienti e a decorare con materiali preziosi ed opere d’arte gli ambienti già realizzati. Nella villa imperiale devono aver risieduto tutti i principi di Roma ed in effetti gli scavi archeologici hanno individuato ben sette fasi edilizie dal I sec. a.C. sino al V sec. d.C..
Durante il Medioevo l’intera zona venne progressivamente abbandonata perché gli acquedotti non funzionavano più ed essendo l’area ad una quota più elevata non era più approvvigionata dell’acqua.
Gli edifici che si erano salvati dalle invasione dei barbari e degli eserciti che si susseguirono fino al XIII secolo andarono in rovina e furono ricoperti da strati di terra che divennero le vigne delle famiglie nobili e dei cardinali fino a quando Roma divenne la capitale d’Italia e si iniziò a costruire la città moderna.
Accadde così che nel dicembre del 1874 durante i lavori in Via Foscolo si verificò un cedimento del terreno e gli operai si trovarono in una camera sotterranea piena di statue; fu subito chiamato Rodolfo Lanciani, responsabile della Commissione archeologica del Comune di Roma, che per il fatto che le statue si trovavano ammassate tutte insieme ne dedusse che:
dovevano essere cadute per la rottura delle volte del piano superiore che era il piano nobile dell'edifizio e trovavasi al livello del suolo antico.
Oggi, questa spiegazione appare semplicistica e sbrigativa; i tesori ritrovati erano statue, bassorilievi ed epigrafi sia di arte romana ma anche greca e la loro eterogeneità fa pensare piuttosto che furono riunite e poste nella stanza sotterranea per proteggerle. Tra gli studiosi c’è chi pensa che questi capolavori fossero stati deposti nella stanza sotterranea da Massenzio che voleva ristrutturare la villa e così intendeva proteggerle da danneggiamenti fortuiti durante i lavori. Questi lavori non si sarebbero poi realizzati perché Massenzio fu sconfitto e morì a Ponte Milvio e così ci si dimenticò dei tesori nascosti nel sotterraneo. Tuttavia un’altra spiegazione, forse più plausibile è la consuetudine che avevano preso i cittadini di Roma di nascondere in vani sotterranei, od addirittura seppellire, le opere d’arte e gli oggetti preziosi quando la città stava per essere invasa e saccheggiata; altri tesori nascosti in questo modo sono stati ritrovati ben protetti dal loro nascondiglio – come la statua in bronzo del Pugilatore a riposo e gli argenti del famoso Tesoro dell’Esquilino – probabilmente perché chi li aveva nascosti morì e non poté più tornare a disseppellirli.
Il ritrovamento del dicembre del 1874 seguiva altri ritrovamenti avvenuti già in secoli precedenti quando nella zona si andava per recuperare materiali da utilizzare in nuove costruzioni; nella stessa area erano già stati ritrovati il gruppo dei Niobidi e i Lottatori entrambi ora alla Galleria degli Uffizi, il Discobolo di Mirone ora a Palazzo Massimo ed il meraviglioso affresco noto come “Nozze Aldobrandini”; ma anche dopo il 1874 nell’area saranno trovate opere meravigliose come nel 1907 quando verso Piazza Dante fu ritrovato il gruppo dell'Ephedrismòs, del IV sec. a.C, marmo greco che rappresenta due fanciulle che giocano alla cavallina.
Rodolfo Lanciani ed i suoi collaboratori descrissero le opere ritrovate nel Bollettino della Commissione archeologica del 1875, tra cui il Commodo rappresentato come Ercole Romano.
La statua è in marmo pentelico ed alta cm. 1,18 e fin dalla scoperta si dimostrò unica in quanto, oltre la rappresentazione come Ercole che rispondeva ad un’aspirazione dell’imperatore Commodo, la figura era non un busto ma fino al torace e completa di braccia e mani e con tutti gli attributi propri di Ercole: la pelle di leone, la clava ed i pomi del bosco delle Esperidi che dimostrano come l’Ercole commodiano aveva già compiuto tutte le sue fatiche e quindi poteva essere considerato un Ercole Vincitore ...
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di M.L. ©RIPRODUZIONE RISERVATA (Ed 1.0 - 15/10/2015)
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