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Rea Silvia, madre dei Gemelli

Rea Silvia, madre dei Gemelli

Nella mitologia romana Rea Silvia è la madre dei gemelli Romolo e Remo ma della leggenda esistono più versioni di cui la più nota è quella albana per cui Rhea Silvia sarebbe stata la figlia di Numitore re di Albalonga. Il trono di Numitore fu usurpato dal fratello Amulio che per eliminare ogni rischio di possibili discendenti di Numitore che rivendicassero il potere, costrinse Rea Silvia a farsi Vestale e quindi a rimanere vergine ed a non generare, ma il Fato aveva disposto diversamente. Le sacerdotesse del fuoco sacro di Albalonga dovevano recarsi a prendere l'acqua passando per il bosco sacro a Marte ed è qui che il Dio vide la fanciulla addormentata in un boschetto e si unì a lei. Secondo un'altra versione dei fatti, sostenuta dall'annalista Licinio Macro (fine II secolo a.C.) sembra che la violenza subita da Rea Silvia era umana ed opera dello zio Amulio, ma comunque siano andati i fatti dopo poco era ormai evidente che Rea Silvia avrebbe generato.
Un tratto che accomuna le due versioni della leggenda é il momento in cui assume il nome con cui entra nella leggenda: prima di entrare nel bosco sacro a Marte la fanciulla è solo la figlia Vestale di Numitore ma quando ne esce è chiamata con il nome di Silvia, segnata in questo dall'essere la nipote di Lavinia che ,per timore di Ascanio, andò a partorire il suo primogenito nelle silvae e lo chiamò per questo Silvius. L'Origo Gentis Romanae cita:

Eiusdem posteri omnes cognomento Silvii
Da lui tutti i discendenti furono conosciuti come Silvii

quindi la figlia di Numitore,come tutte le donne romane, era conosciuta con il nomen della gens a cui apparteneva. Da collegare a questo filone è la versione della leggenda secondo cui Rea Silvia era una divinità venerata presso il Lago Albano ed i suoi sacerdoti, chiamati Silvi, sarebbero poi divenuti i re di Albalonga.
Vale comunque ricordare che fino al I secolo a.C., quindi prima che la propaganda augustea riscrivesse la storia delle origini, la madre di Romolo era conosciuta solo come Ilia, nome che rimanda immediatamente a Troia e alle genti che si imbarcarono con Enea alla ricerca di un altro futuro.
Esiste anche un'altra versione della leggenda, probabilmente di origine ellenica, secondo la quale il vero nome della donna sarebbe stato Dessitea, figlia di Furbante un personaggio dell'Eneide che Virgilio menziona nell'episodio di Palinuro. Dessitea era una delle donne che seguirono Enea nel lungo viaggio portando con sé i due figli che già aveva avuti dall'eroe troiano, quei figli erano Remo e Romolo, i gemelli che avrebbero fondato Roma. Questa versione salta tutti i problemi della catena di parentele che riconducevano l'origine di Roma a Troia e alla Dea Venere e forse fu uno dei punti di partenza per la ricostruzione di Virgilio che non prese mai in considerazione le altre versioni di origine greca.
Legata invece agli arcaici dei aniconici è un'altra versione della leggenda che Plutarco cita nel tentativo di arrivare all'origine della storia; questa volta la fonte è uno storico greco che pare vivesse a Caere e che riprese una leggenda indigena che poneva al centro della vicenda la visione che ebbe Tarchezio divenuto re di Alba dopo aver violato le leggi della sua città. In realtà questa versione accreditata da Nevio ed Ennio testimonia come un periodo di predominio etrusco sulla Valle del Tevere abbia preceduto la nascita di Roma.
Secondo questa storia dal focolare della casa del re si alzarono delle fiamme altissime che avevano le sembianze di un fallo che prese dimora nella casa; Tarchezio chiese l'interpretazione del prodigium ad un oracolo della dea Tethys che si trovava in Etruria. La risposta dell'oracolo fu che una vergine doveva congiungersi a quell'essenza e ed avere un figlio che sarebbe diventato molto famoso per valore, fortuna e forza. Tornato a casa Tarchezio ordinò alla figlia di unirsi al fallo ma questa impaurita costrinse una sua serva ad unirsi al fallo che soddisfatto non apparve più nella casa. Dopo questa unione la schiava rimase incinta ma Tarchezio venuto a sapere che era stata la schiava ad soggiacere all'entità superiore, non volle che quei figli vivessero ed ordinò che fossero uccisi; l'incaricato ebbe pietà dei due neonati gemelli e diede loro una possibilità di sopravvivere abbandonandoli al loro destino all'interno di una cesta lasciata galleggiare sulle acque del fiume. Questa versione della storia che sull'epilogo si ricollega a quella più famosa, lascia nel più completo anonimato la madre di cui non solo non si conosce il nome ma è addirittura una schiava ...





di M.L. ©RIPRODUZIONE RISERVATA (Ed 1.0 - 11/02/2020)