Monte dei Cocci
Il Mons Testaceus che nell'antica Roma fu la discarica per le anfore e olle con cui arrivavano nell'Urbe i prodotti alimentari dalle provincie dell'impero, oggi per gli archeologi è la fonte più importante di informazioni sulla produzione e commercio dell'olio, del vino e di molti altri prodotti alimentari così come sulle figlinae in cui venivano prodotti i contenitori per poterli trasportare.
La collina, alta oggi 36 metri, è andata formandosi nel periodo compreso tra il I a.C ed il III secolo d.C. quando era la discarica delle anfore che, caricate sulle chiatte risalendo il Tevere arrivavano all'Emporium alle spalle del quale si trovava; si può considerare uno specchio della vita economica della tarda repubblica e dell'impero romano fino al III secolo d.C.
Essendo una “discarica” non era considerata in alcun modo dai romani ed anzi il Mons Testaceus non è menzionato da alcuna fonte letteraria; il primo riferimento si trova in una epigrafe a vista sul muro del portico di Santa Maria in Cosmedin; nell'epigrafe, conosciuta anche come charta lapidaria, sono elencate le donazioni fatte tra il 752 ed il 756 da Eustathius dux di Roma alla diaconia di Santa Maria in Cosmedin e tra queste viene citata una vigna:
bineas tabul(arum duarum et semis) qui sunt in Testacio
Vigne di due tabulae e mezzo che sono sul Testaccio
Il colle era denominato Testaceus perché formato da scarti di terracotta , i cocci il cui termine latino era testae. Nell'arco di circa tre secoli vi furono ammucchiatti i corrim ovvero le anfore che non potevano essere riusate e che venivano rotte per poi essere accatastate non in modo confuso ma seguendo una tecnica di sovrapposizione che potesse rendere il sito agibile a ulteriori necessità.
Lo studio dei cocci ha rivelato che principalmente erano riferiti ad anfore usate per il trasporto di olio e vino.
Dopo l'età romana, l'area di Monte dei Cocci non venne più usato perché i moli d'approdo furono sconvolti da tragici eventi alluvionali susseguitesi tra il IV ed il V secolo d.C. Il traffico fluviale e la movimentazione delle merci si spostò sulla sponda opposta del fiume.
Nell'alto Medioevo la collina dei cocci venne ricoperta dalla vegetazione e poi verso l'anno Mille divenne una delle stationes della processione della settimana santa quando, dopo la sosta davanti alla domus Pilati, ovvero la Casa di Crescenzio al Foro Boario, i figuranti vi salivano come al Golgota per la rappresentazione della crocefissione.
Dopo il ritorno dei papi da Avignone, Roma visse un periodo di ripresa economica e l'incremento della popolazione favorì la nascita di festeggiamenti popolari in concomitanza con celebrazioni di festività religiose. A Testaccio, nome con cui da allora i romani cominciarono ad indicare il Monte dei Cocci, durante la settimana santa si svolgevano processioni durante le quali i partecipanti improvvisavano dialoghi sui temi del pentimento e della passione.
Nell'area del Monte dei Cocci si sono svolte le manifestazioni del Carnevale Romano dal 1256 al 1470, ma anche quando Papa Paolo II trasferì la celebrazione della ricorrenza al Corso, alcune manifestazioni continuarono ad essere tenute al Monte dei Cocci come quella ripresa in un'incisione di Etienne du Perac nel 1545 che fu commissionata per poter “promuovere” l'evento.
La festa era sorta una “giostra” che ricordava gli antichi Ludi Venatores a cui assisteva tutta la città, il popolo, l'aristocrazia e la Curia. Dall'alto della collina venivano rilasciati tredici tori e per farli infuriare dietro si lasciavano andare delle carrette su cui erano ingabbiati dei maiali, alla fine della discesa i tori erano attesi da sei cavalieri che protetti dalle armature dovevano colpirli a morte mentre il popolo era libero di prendere i maiali scappati dalle gabbie che si erano rotte cadendo dalle carrette.
Nei secoli seguenti a Testaccio si festeggiavano le “ottobrate” romane, le feste della vendemmia quando i carretti riportavano le donne dalla vendemmia fatta ai Castelli e l'allegria aiutata dalle bevute di vino favoriva giochi, scherzi, balli e i cori degli stornelli.
La collina aveva però attirato la curiosità e l'attenzione di antiquari e semplici traffichini per i quali i cocci rappresentavano una sorta di souvenir dell'antica Roma da rivendere ai tanti visitatori. Fortunatamente anche il Monte dei Cocci fu interessato dalla nuova politica pontificia a difesa delle antichità di Roma: il 24 settembre del 1742 fu emanato un editto che vietava di effettuare scavi e portare via i cocci dal monte.
Questa lungimiranza dei papi ha preservato per decenni il patrimonio di informazioni che il Monte dei Cocci custodisce e di cui gli studiosi ancora oggi continuano a servirsi. Il ...
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di M.L. ©RIPRODUZIONE RISERVATA (Ed 1.0 - 21/05/2023)
Frans Hogenber – Georg Braun. Mappa di Roma antica, particolare con Mons Testaceus 1588
Monte dei Cocci, cataste dei frammentidi anfore – Roma IT
Etienne Du Perac. La festa di testaccio fatta in Roma, stampa 1550 – British Museum, Londra GB
Etienne Du Perac. Particolare da La festa di testaccio fatta in Roma, stampa 1550 – British Museum, Londra GB
Vista Monte Testaccio nel disegno di Giovanni Maggi, c. 1625
Area archeologica del Porticus Aemilia. Muri realizzati con anfore – Testaccio, Roma IT
Monte dei cocci, Roma IT