Mestieri in Roma Antica
Secondo Varrone fu Numa Pompilio a dividere i cittadini di Roma secondo l'arte ed il mestiere da cui traevano il proprio sostentamento. La decisione di Numa fu necessaria per superare la forte contrapposizione tra Sabini e Romani che si era andata definendo dopo la morte di Tito Tazio.
La città sembrava composta da due diversi gruppi etnici, come ho detto, o piuttosto divisa in due stirpi che non volevano in alcun modo unificarsi né eliminare la differenza e la divisione, e c'erano incessantemente scontri e inimicizia tra le due parti. Numa risolse di ripartire in un maggior numero di parti il popolo intero, in modo da creare altre differenze, ma eliminare quella prima e grande, disperdendola tra le più piccole. Ripartì dunque il popolo secondo i mestieri, suonatori di flauto, orefici, falegnami, tintori, cuoiai, conciatori, fabbri, vasai. Riunendo in un unico gruppo tutte le arti rimanenti, di tutti questi gruppi fece un unico sistema. Dette ad ognuno dei raggruppamenti riunioni, momenti di incontro, culti degli dei adeguati ad ogni stirpe. Allora per la prima volta fece sparire l'uso di dirsi e considerarsi gli uni Sabini gli altri Romani, gli uni di Romolo, gli altri di Tazio, sicché la divisione divenne armonia e mescolanza di tutti verso tutti.
Sembra che Numa una volta capito che ogni cittadino aveva bisogna di sentire la sua appartenenza alla città attraverso un gruppo, pensò di cambiare i gruppi in cui l'Urbe era divisa e ad un'appartenenza derivata dall'origine, sostituì l'appartenenza attraverso la competenza,il mestiere.
Ma quanto cercò di fare Numa faceva parte di un'età arcaica ed i valori che la rappresentavano subirono un profondo cambiamento all'alba della repubblica quando la contrapposizione divenne quella tra patrizi e plebei e la dignità dell'uomo misurata in riferimento ai suoi possedimenti terrieri.
Nell società romana arcaica erano considerati nobili i lavori connessi all'agricoltura. Catone nel suo De Agricoltura ne fa un vero elogio come il solo modo di guadagnarsi da vivere con onestà ed in modo sicuro, caratteristiche che non riconosce nel lavoro dei mercatores a cui spesso era associata l'attività di prestare denaro che non solo era considerata riprovevole ma addirittura punita per legge. L'elogio alle attività agricole era legato al possesso della terra che spettava a coloro che erano stati guerrieri e che quindi con il loro comportamento onorevole in difesa della patria avevano meritato la considerazione sociale.
Le testimonianze letterarie antiche, sia greche che romane non disprezzano il lavoro anche se i giudizi risentono molto delle diversità di tempi e luoghi.
Date le premesse essere artigiani o praticare un mestiere per cui ci si asserviva ad altri era un'attività considerata servile e quindi lasciata ai liberti, agli stranieri e comunque ai cittadini nullatenenti o al più basso dei livelli censuari.
Tuttavia tra i mestieri servili ci furono alcuni considerati onorevoli perchè connessi alle capacità intellettuali, altri accettati perchè connessi all'abilità manuale, o qualità del fare, ed altri ancora sordidi come quello dei salariati che vendevano solo il loro lavoro. Anche il commercio era considerato sordido se esercitato in piccola scala mentre se il mercatore operava acquistando le merci da mercati lontani o vendendo in altri paesi, era un lavoro onorevole purchè fosse rispettata una condizionie: il denaro accumulato come giusto guadagno, ovvero senza compiere frodi, doveva essere usato per comperare la terra e quindi divenire agricoltori.
I romani consideravano indecenti tutti quei mestieri che servivano a dare piacere e Terenzio ne fa un elenco in cui rientrano i venditori di pesce, i macellai, i cuochi, i pollaioli, i pescatori i cui prodotti soddisfano il piacere della gola. Ma non si salvano neanche i profumieri per non parlare poi dei ballerini e di “... coloro che danno luogo a spettacoli poco decenti.”
Il pregiudizio su cui si fonda la valutazione negativa del lavoro è stato indirettamente spiegato da Cicerone: il lavoro manuale da cui nasce il guadagno dell'artigiano o dell'operaio, dipende dai compratori ed il loro guadagno non è sicuro perchè legato a variabili che non possono controllare e di conseguenza sono sempre in condizioni di precarietà e per questo tendono ad “imbrogliare” per sopravvivere.
Non avevano alcun valore le competenze che gli artigiani dovevano possedere per svolgere il loro lavoro. Anche gli studi hanno svelato alcuni segreti e/o metodiche delle più diffuse attività artigianali, da quella per la produzione di profumi, alla concia delle pelli, alla tessitura e tintura dei filati ed anche alla produzione dei colori da usare nella lavorazione ceramica.
I profumieri a Roma erano chiamati seplasarii dal nome della piazza di Capua che era anche il centro più importante per il commercio delle essenze in quanto era in Campania che si producevano i componenti essenziali, l'olio ed i fiori. In particolare le rose. Anche in altre città come Paestum e Pompei era fiorente l'attività dei profumieri e nella Via degli Augustali a Pompei si ipotizza che l'oleificio sia stato in realtà una fabbrica di profumi. Non a caso uno degli elementi principali del profumo era il ricercatissimo olio di Venafro ...
Per leggere tutto l'articolo iscriviti!
di M.L. ©RIPRODUZIONE RISERVATA (Ed 1.0 - 15/10/2023)
Bassorilievo raffigurante una meditrina, rinvenuto a Grand in Gallia II secolo d.C. - Museo d'arte antica di Epinal FR
Amorini profumieri dal triclinium della Casa dei Vettii, I secolo d.C. - Pompei IT
Urna di Sellia Epyre