Il libro del comando
Vi è un libro molto famoso De cerimoniis magicis di cui una copia si conserva alla Biblioteca Nazionale di Roma, non si sa chi sia l’autore anche se nel XVI secolo qualcuno tentò di assegnarne la paternità a Cornelius Agrippa, mago del Rinascimento.
Il libro compare un po’ qua ed un po’ la’ nel corso dei secoli anche prima del Cinquecento.
Nel XII secolo sembra si trovasse in Campania nelle mani di Pietro Bailardo. Il libro, secondo la tradizione orale della Campania, sarebbe stato scritto da Virgilio anche se non viene riferito il motivo; molti maghi ed alchemici cercarono di entrarne in possesso e sembra che uno di questi sia stato Pietro Bailardo, personaggio in cui la fantasia popolare nel medioevo ha fatto confluire, più per assonanza del nome che altro, le gesta del capitano di ventura Pierre Terrail de Bayard e le opere di Pietro Barliario, alchimista e medico della Scuola Medica Salernitana.
La leggenda racconta che Pietro Bailardo ottenne il Libro del comando facendo un patto con il Diavolo che in cambio pretese la cessione della sua anima. Con il sapere che gli trasmise il libro, il Bailardo fece molte cose prodigiose: a Salerno in una sola notte di tempesta e con l’aiuto dei diavoli, costruì l’acquedotto con archi che arrivano a 21 metri dal suolo e ancora oggi viene chiamato “Archi del Diavolo”; fece un pellegrinaggio a Santiago de Campostela in un giorno ed anche a Gerusalemme andò in un giorno. Verso la fine della sua vita si trasferì a Roma e qui pentito chiese perdono alla Chiesa e consegnò il libro al diacono del Pantheon; appena uscito dalla Chiesa incontrò il Diavolo che gli chiese di pagare il suo debito, Bailardo dette al demonio un pugno di noci e corse subito al riparo nel Pantheon dove si mise a pregare sinceramente pentito. Il Diavolo all’esterno del Pantheon cominciò a girare inferocito attorno al tempio scavando il fossato che ancora oggi è visibile.
Nel XVI secolo il libro forse era nelle mani di Henricus Cornelius Agrippa, conosciuto come erudito e sapiente mago a cui si attribuisce il ricettario di segreti e di pratiche magiche intitolato: "Il libro del Comando ovvero l'arte di evocare gli spiriti", che vedrà varie ristampe a partire dal XIX secolo. Era uno studioso e scienziato alchemico di origine tedesca, essendo nato a Colonia, e dalla sua città natale conosciuta nell’antichità come Colonia Agrippinensis (perché vi era nata Agrippina Minore) decise di assumere il praenomen Agrippa.
Di questo controverso e poliedrico personaggio sono rimaste opere più dotte che si occupano di magia bianca e nera e sopra tutte il “De occulta philosophia” pubblicata in tre libri nel 1533 e della quale una copia è conservata nella Biblioteca Nazionale di Roma (segnatura: 69, 2, D, 6).
Poco dopo la morte di Agrippa apparve un quarto libro che sembrava contenesse la chiave per poter comprendere ed usare le potenti formule magiche contenute negli altri tre libri, il De cerimoniis magicis che il figlio di Agrippa ha sempre ricusato come spurio.
Probabilmente si trattava di una riscrittura tardo medievale di quello che era stato il libro di Pietro Bailiardo.
La storia del Libro del comando si può considerare senza fine se ancora nel 1892 a Pavullo in provincia di Modena un tribunale penale si occupò si una causa per tentativo di furto e minacce a mano armata a carico di cinque uomini che tentavano di farsi dare da un sesto il “Libro del comando” o meglio quel quarto libro che dovrebbe contenere la chiave per decifrare tutta l’opera.
Nella causa – poi chiusa per riconosciuta incapacità intellettiva degli imputati - fu richiesta anche la perizia psichiatrica nella quale si trovano allegate anche oscure mappe alchemiche.
di M.L. ©RIPRODUZIONE RISERVATA (Ed 1.0 - 30/07/2015)
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