Liberum mortis arbitrium
Gli storici frequentemente ci raccontano delle scelte di uomini e donne importanti della storia di Roma che scelsero di togliersi la vita come espiazione onorevole della colpa; le loro sono storie emblematiche come quella di Lucrezia che si suicida dopo essere stata oltraggiata da Sesto Tarquinio, il figlio del re, o quella di Bruto e Cassio che si uccisero dopo essere stati sconfitti a Filippi od anche il gesto di Seneca che preferisce darsi la morte tagliandosi le vene piuttosto che essere giustiziato.
Ma tanti altri si suicidarono, le persone comuni spesso perché travolte da problemi finanziari o per un dolore insostenibile od anche come i poveri e gli schiavi per l’insopportabilità di una vita misera o disperata.
I patrizi preferivano darsi la morte con la spada o tagliandosi le vene mentre tra i non ricchi si preferiva l’impiccagione oppure gettandosi nel Tevere. Il ponte dei suicidi era il Ponte Fabricio, dal quale tentò di suicidarsi anche Orazio per gravi problemi economici, episodio che egli stesso riportò in una Satira (II,3,35-40) e che superò grazie all'aiuto, forse reale o forse solo letterario, dello stoico Stertinio che lo consigliò di tornare sui suoi passi e riconsiderare il suicidio come un gesto inutile
te quicquam indignum; pudor inquit te malus angit,
insanos qui inter vereare insanus haberi.
Non farai cosa indegna di te. Falso pudore ti angustia:
ti vergogni, temi d’essere considerato un pazzo in mezzo ai pazzi.
Il suicidio, liberum mortis arbitrium, non era considerato disonorevole, né un reato ma una manifestazione di libertà a cui potevano essere date interpretazioni diverse ma che era una scelta rispettata solo per sfuggire alla pena capitale inflitta o come dimostrazione di lealtà.
I suicidi più famoso furono quelli imposti da Nerone a quanti accusò di aver partecipato alla congiura pisoniana: uno dopo l’altro morirono Seneca, Lucano e Vestino. Per Seneca, come per tutti gli stoici il suicidio era un'affermazione di estrema libertà se fondato su una decisione razionale o per evitare una vergogna. Furono molti coloro che formatesi alla scuola stoica terminarono la loro vita con il suicidio come Catone Uticense che prima di suicidarsi si consulto con il filosofo stoico Apollonide.
Durante il I secolo d.C. il suicidio divenne una consuetudine per quanti a torto a a ragione furono accusato di congiurare contro Tiberio piuttosto che Nerone ed anche più tardi contro Domiziano; solo la voce di Tacito manifesta contrarietà e bacchetta questo comportamento dei patrizi tacciandolo di viltà e di bassezza servile di quanti si arrendevano alla condanna senza difendere le loro idee.
Ma il suicidio per liberare la famiglia dall’onta e consentirle di ereditare non sempre otteneva il risultato sperato, un fatto su tutti ha come protagonisti l’imperatore Nerone ed Anneo Mella, il fratello di Seneca che era un uomo ricchissimo. Nerone voleva entrare in possesso dei suoi beni e quindi lo fece accusare di essere anche lui uno dei complici di Pisone; Anneo Mella preferì tagliarsi le vene piuttosto che affrontare il processo, essere condannato e perdere le sue sostanze che almeno in parte poterono passare al figlio Anneo Lucano.
Una diversa interpretazione ne danno alcuni studiosi secondo i quali il Liberum mortis arbitrium era una concessione di esclusivo appannaggio del principe e comunque destinata solo a personaggi delle classi sociali più alte. Che la libera morte fosse una concessione del principe sembra confermato dall'epilogo al processo che Nerone fece fare contro Clodio Trasea Peto dove il Senato alla fine, per volontà dell'imperatore, condannò a morte il senatore con la formula del Liberum mortis arbitrium. La stessa volontà imperiale si espresse per quanto accadde durante il regno di Tiberio che dopo la caduta di Seiano a tutti gli accusati negò la morte volontaria e fece uccidere tutti dal carnefice anche i bambini e le donne che i boia poterono stuprare e poi strangolare per poi trascinarle con uncini lungo le scale Gemoniae fino a gettarle nel Tevere. L'episodio di Domiziano che esercitò questa prerogativa nella sua veste di censore in un caso molto particolare: concesse il Liberum mortis arbitrium alle sorelle e vestali Ocellate e Varonilla che erano colpevoli di non aver rispettato il loro giuramento di castità. Sembrerebbe che concedere la “libera morte” fosse nella facoltà non solo dei censori ma anche del Senato anche se, soprattutto come pena nei processi di lesa maestà, incalzato dall'imperatore.
In alcuni casi la concessione si trasformò anche in suggerimento come per Plauzio Silvano e Perseo. Il pretore Plauzio Silvano era accusato di aver ucciso la moglie gettandola dalla finestra, a lui Tiberio fece portare il pugnale dalla nonna, ed intima amica di Livia, Urgulania; a Perseo, lo sconfitto re dei Macedoni, fu recapitata una spada ed una corda che il permesso di farne l'uso che credeva.
Ma in un periodo in cui era molto importante la fides, ovvero la lealtà e la fedeltà, il suicidio divenne lo strumento con cui i viri militares provavano al loro capo la loro fedeltà quando questa era messa in dubbio. Esempio eclatante è quello di Corbulone che accusato da Nerone di essere coinvolto con Pisone si trafisse il petto con la spada al grido “Axios”; meno eclatante ma egualmente significativo, a conferma di come il comportamento fosse diffuso lungo le linee di comando dell'esercito, il suicidio del centurione Giulio Agreste che secondo il racconto di Tacito si uccise per dare prova della sua lealtà a Vitellio.
Questo comportamento per cui i militari preferivano darsi la morte per provare la loro lealtà era comunque limitato ai ceti più alti perché comprensibile solo se legato ai valore culturali di una formazione filosofica precisa. Ne è dimostrazione indiretta la reazione delle truppe delle legioni del Reno in rivolta quando Germanico per dare dimostrazione della propria lealtà rispetto agli impegni presi stava per compiere il gesto estremo ed a questo viene anche sollecitato da un soldato che, interprete della posizione dei legionari, valutava ogni cosa secondo il solo metro del denaro. Germanico fu fermato dai suoi legati altrimenti avrebbe compiuto un gesto del tutto inutile ...
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di M.L. ©RIPRODUZIONE RISERVATA (Ed 1.0 - 14/01/2019)