Legio V Macedonica
Alla morte di Giulio Cesare le legioni che erano sotto il suo comando riconobbero come loro generale Marco Antonio e quando si profilò lo scontro tra la fazione senatoriale che voleva privarlo dell'imperium, il luogotenente di Cesare trattenne le legioni presso di sé per questo nel 43 a.C il console Gaio Vibio Pansa, a cui il senato aveva dato l'incarico di ricostituire un esercito per combatterlo, indisse una leva per costituire una nuova legione necessaria nello scontro che si andava profilando con Marco Antonio.
Il primo impiego della legione fu nella battaglia di Modena, vinta da Marco Antonio, e dopo quando fu concluso l'accordo che portò al triumvirato la legione entrò a far parte dell'esercito di Ottaviano. Non si conosce il nome con cui fu designata la legione nei primi anni, almeno fino al 31 a.C. quando, dopo la riorganizzazione dell'esercito da parte di Ottaviano, fu mandata a presidiare la Macedonia, dove rimase sino al 6 d.C. e da cui le derivò il nome che la seguì per tutta la sua lunga vita. Alcuni storici ritengono peraltro che la legione nei primi decenni fosse nominata come Legio V Gallica e che fu rinominata come Macedonica dopo aver partecipato alla guerra del 29-27 a.C. in Macedonia.
Il primo storico a menzionarla nella sua opera con il nome di Legio V Macedonica è stato Strabone, e questo ancora durante il principato di Augusto, descrivendo come insieme alla Legio IV Scythica fu impiegata nella costruzione di una strada militare in riva destra del Danubio.
Verso la fine del I secolo d.C. i suoi castra furono posti nei pressi dell'antica città di Troesmis situata tra il Mar Nero e la foce del Danubio.
Proprio a partire dal momento del suo acquartieramento in Moesia Inferiore, secondo studi recenti, la legione fu la protagonista di un cambiamento nel modello di reclutamento dei legionari strettamente connesso con la visione di età augustea di un impero formato da territori e popoli di etnie diverse e capace di elaborare strategie in cui questa diversità finiva con arricchire la potenzialità dell'esercito romano. Dall'età augustea in poi ... la barbarie non è più vista come uno stato permanente ma come una situazione che può essere cambiata con l'adozione dei valori e delle forme culturali romane.
(Elena Adam – traduzione M.L.)
Fu la grande estensione dei confini dell'impero che costrinse Roma ad avere un grande esercito che non solo combattesse per conquistare nuovi territori ma soprattutto sorvegliasse e respingesse i popoli “barbari” che premevano ai confini, ma un esercito così grande non poteva essere composto come in tarda età repubblicana solo da italici e questa tesi è sostenuta negli ultimi studi sull'esercito romano da molti storici.
Questi studi hanno riportato l'attenzione sulla corrispondenza tra soldato e cittadino che investiva il legionario nel corso di tutta la sua vita, infatti se per divenire legionario si doveva essere uomini liberi e cittadini roani, alla fine del periodo di servizio ogni legionario tornava ad essere un cittadino e, in più, durante il tempo di pace e/o durante i mesi invernali quando le guerre venivano interrotte, i soldati vivevano e lavoravano nelle città dove era acquartierata la legione. Infatti fino al II secolo a.C, quando le campagne di guerra si svolgevano al massimo in territori confinanti con la penisola italica, i legionari rientravano in Italia nei territori dove avevano i loro castra, ma quando Roma si trovò ad essere impegnata in regioni molto lontane non era più possibile far rientrare le legioni, pena lunghe marce per andare e tornare dalle aree di battaglia che fiaccavano i soldati.
Nel 62 d.C. era sotto il comando di Gneo Domizio Corbulone e partecipò insieme alla Legio III Gallica, X Fretensis e la VI Ferrata alla campagna che ricacciò i Partinei loro territori.
Acquartierata in Mesia fu una delle legione che Vespasiano, ancora generale di Nerone, organizzò nel 67 d.C. per andare a reprimere la rivolta in Giudea. Fu ancora una delle legioni che acclamò Vespasiano come nuovo imperatore nell'anno dei quattro imperatori.
Gli uomini della legione furono compensati dall'imperatore Vespasiano che avevano sostenuto, ne è testimonianza il testo della lastra funeraria del centurione primipilo Marco Blossio Pudente, appartenente alla tribù Aniense in cui sono menzionate i dona militaria che Vespasiano gli aveva riconosciuto: torques, armillae, phalerae e la corona aurea. Marco Blossio non potè godere dei privilegi riconosciuti al termine del loro servizio perché mori a quarantanove anni, un anno primo di terminare il tempo della ferma.
Terminò invece il suo servizio militare Lucius Lucinius Clemens, originario della Giudea, che arruolatosi proprio sotto Vespasiano e Tito divenne il solo veterano della legione (almeno in base alle informazioni certe a tutt'oggi) che riuscì anche ad avere una carica da magistrato nella vita civile quando decise di stabilirsi a Troesmis dove si trovavano i castra della Legio V Macedonica.
di M.L. ©RIPRODUZIONE RISERVATA (Ed 1.0 - 13/11/2019)