La draga del Principe Altieri
La famiglia Altieri possedeva nel XVII-XVIII secolo una della più ampie collezioni archeologiche di Antichità Romane, frutto di un lungo ed “amorevole” lavoro di ricerca iniziato nel XV secolo da Marco Antonio Altieri, letterato ed umanista appartenente all’Accademia di Pomponio Leto, che aveva iniziato già coni ritrovamenti sull’Esquilino dove la famiglia aveva costruito la sua Villa.
Gli Altieri erano presenti a Roma già dal Medioevo e la loro ricchezza veniva dalle proprietà che avevano nella campagna romana dove sembra che avessero la maggiore parte delle greggi di pecore. Erano loro che vendevano lana e formaggi e carne alla curia papale e alla città che andava ripopolandosi dopo che i papi erano tornati a Roma. Con i ricavi del commercio comperarono case a Roma dove ebbero importanti cariche amministrative ( Conservatori, Caporioni, Maestri di strada, ….) e alcuni di loro avviati alla carriera ecclesiastica entrarono nella Curia. L’importanza e la ricchezza della famiglia Altieri ebbe il suo culmine quando Emilio Altieri divenne Papa nel 1670 con il nome di Clemente X ed assegnò alla famiglia il titolo di “Principi di Oriolo e Viano” dove erano la maggior parte dei loro possedimenti. Si stima che la collezione, proseguita negli anni fino al XVIII secolo, avesse oltre 200 reperti che furono raccolti sia scavando nei possedimenti di famiglia, dall’Esquilino alla cosiddetta “platea Altieri” (oggi Piazza del Gesù) in Campo Marzio dove venne costruito il Palazzo Nobiliare , ma anche sul Celio, a Piazza di Pietra, ad Albano, a Ostia e nell’alveo del Tevere.
Se nelle proprietà terriere si scavava, nel Tevere si doveva dragare. Nel 1775 il Cardinale Vincenzo Maria Altieri, nella sua qualità di Presidente della Congregazione delle Acque e delle Ripe diede al nipote, Principe Emilio Carlo Altieri, l’autorizzazione a dragare il Tevere per recuperare le opere d’arte romana che vi erano state gettate.
Era infatti cosa nota a tutti gli studiosi di Roma che sin dai tempi della monarchia era una consuetudine gettare nelle acque del Tevere quanto non si voleva più mantenere alla memoria delle genti; chi si era macchiato di delitti gravissimi nei confronti dello stato Romano, veniva condannato alla Damnatio Memoriae, che consisteva nella cancellazione del nome, delle rappresentazioni ed anche le opere di una persona e per prime venivano distrutte le statue e cancellate le iscrizioni che si trovavano esposte in luoghi pubblici. Questi atti erano molto plateali e spesso le statue di chi era stato condannato alla damnatio memoriae venivano gettate proprio nel Tevere.
Altri eventi che contribuirono sicuramente a far diventare il fondo del Tevere un deposito di manufatti di tutti i tipi furono le frequenti piene del fiume che arrivavano a ricoprire anche bel oltre i 10 metri le parti più basse della città; quando l'acqua esondava la sua forza poteva strappare le statue dai loro piedistalli e poi ritirandosi strascinarle altrove. Molte furono le statue che vennero ingoiate e che poi nel corso dei secoli furono ripescate, una di queste potrebbe essere la testa d'atleta, copia romana di un tipo di Lisippo, ora esposta a Palazzo Massimo.
Il dragaggio dei fiumi era ormai una consuetudine abbastanza diffusa nei paesi che avevano lunghi corsi d'acqua che venivano usati come vie di trasporto di merci imbarcate su chiatte; a Roma lavori di dragaggio erano stati fatti eseguire dal Papa nel 1670 che affidò l'incarico all'ingegnere Cornelio Meyer di approfondire il fiume sia per aumentare il pescaggio delle imbarcazioni mercantili che risalivano il Tevere, sia per meglio contenere le piene. L'Olandese, così venne chiamato l'ingegnere, utilizzò erpici tirate da cavalli.
Il Principe Altieri voleva dragare il Tevere per un motivo diverso: voleva ritrovare opere d'arte di Roma Antica per la sua Collezione e per farlo diede l'incarico all'architetto della famiglia, Giuseppe Barberi, di costruire una draga che fosse adeguata per un lavoro delicato: ripescare le statue senza rovinarle.
Tutti gli storici a partire dallo Huelsen sono convinti che nel profondo del Tevere siano conservati, occultati a tutti, innumerevoli tesori dell’arte di Roma antica. D’altra parte sin dal medioevo circolavano racconti di ritrovamenti di incredibili tesori nelle acque del Tevere come quella del ritrovamento del famoso candelabro a sette bracci che Tito aveva riportato a Roma come bottino dopo la distruzione del Tempio di Gerusalemme ...
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di M.L. ©RIPRODUZIONE RISERVATA (Ed 1.0 - 11/12/2019)