L’acquetta di Perugia
Nella seconda metà del XVII secolo visse a Roma Giulia Tofana, era una cortigiana della corte di Filippo IV di Spagna e figlia di Thofania D’Adamo che era stata giustiziata perché accusata di aver avvelenato alcuni uomini; Thofania era una maga che aveva inventato l’acqua tofana, un veleno inodore ed incolore che non era altro che “acido arsenioso sciolto in acqua”.
Di Thofania e di sua figlia Giulia si sa ben poco; Thofania venne decapitata a Palermo nel 1633 con l'accusa di aver fabbricato il veleno con cui aveva ucciso il marito e poi altre persone. La figlia forse conosceva la formula segreta della madre oppure, secondo un'altra leggenda, frequentando un frate speziale aveva conosciuto segreti dei veleni e poi da sola aveva scoperto che facendo bollire acqua con un derivato dell'arsenico, limatura di piombo e antimonio si otteneva un liquido incolore, insapore ed inodore che si poteva facilmente aggiungere a qualsiasi cibo o bevanda.
Trovata la “formula” Giulia che era una donna bella ma anche molto pratica ne fece il suo commercio rischiando a Palermo, dove viveva, di incorrere nel giudizio del Tribunale dell'Inquisizione. Giulia in quel momento era l'amante di un abate che si stava trasferendo a Roma e qui si trasferì con lui.
Durante il pontificato di Alessandro VII si scoperse che in Roma si era costituita una specie di associazione tra diverse donne del patriziato, le quali toglievano di mezzo i loro mariti coll'acqua tofana, meglio conosciuta col nome di acquetta di Perugia. Ma alla giustizia, pur avendo le prove, mancò il coraggio di far troncare il capo a dame come la Vitelleschi e la duchessa di Ceri, che avevano usufruito dei servigi di Girolama Spana che arrivata a Roma svolgeva la professione di sensale di matrimoni insieme a quella di fattucchiera. Nella sua professione era stata aiutata da Padre Girolamo di Sant'Agnese che messo a parte del segreto era colui che fabbricava l'acquetta con l'arsenico che gli procurava il Monsignor Amidei. Se con l'aristocrazia la Curia non volle intervenire, quando la Spana mise a disposizione la sua acquetta anche alle classi più basse e gli avvelenamenti divennero troppo, lei e le sue collaboratrici furono arrestate, processate e condannate e così il 5 luglio 1659, furono impiccate cinque donne per avere dispensato carafe d'acqua distillata con veleni di arsenico et solimato, con la quale acqua molte dame havevano ucciso li mariti et altri loro parenti, delle quali donne ne furono molte murate nelle carceri dell’ Inquisizione
. L'esecuzione avvenne in Campo de' Fiori e il popolo di Roma accorse numeroso; la cronaca racconta che furono impiccate Girolama Spana, la figlia di Giulia Tofana, colei che fabbricava l'acquetta e che aveva confessato da aver ucciso trentadue persone e con la quale lavoravano le quattro “comari” Giovanna De Grandis Spinola Grifola e Laura Crispoldi. Pochi giorni dopo si doveva impiccare anche Cecilia Bossi Verzellini, “che eccitò la figliuola ad avvelenare il marito” ma durante l'esecuzione avvenne un curioso aneddoto. I condannati a morte erano accompagnati al patibolo da un frate della confraternita di San Giovanni Decollato che era anche un Barberini principe di Palestrina. Il “principe confortatore” impietosito dai lamenti della condannata raccomandò al boia di far presto, ma questi rispose con insolenza che se il principe voleva poteva occuparsi lui dell'esecuzione ed anzi se ne andò, così avvenne che l'esecuzione fu fatta da un aiutante, ed il boia fu arrestato per ordine del governatore di Roma, frustato e poi condannato alla galera ...
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di M.L. ©RIPRODUZIONE RISERVATA (Ed 1.0 - 04/12/2018)
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