1823 L'incendio della Basilica di San Paolo
Nella primavera del 1823 il curato di San Paolo fuori le mura fece presente che non era più prorogabile la realizzazione di una grande staffa di ferro che doveva sostenere alcune travi maestre del tetto che rischiava di crollare, inoltre erano necessari dei lavori di riparazione del tetto della basilica dove continuavano ad esserci infiltrazioni d'acqua durante le piogge.
Nel luglio dello stesso anno fu dato incarico di riparare il tetto e le grondaie e, come si legge dalla cronaca dell'incidente, due stagnari dopo che ebbero finito di “ … porre i canali di rame alle grondaje del tetto della grande navata, situata all'occidente ...” poiché era già notte interruppero i loro lavoro per tornare a casa lasciando sul tetto la padella con i tizzoni che credevano di aver spento. Probabilmente bastò una vento leggero a far ribaltare la padella e le braci non completamente spente caddero sul tetto arrivando sino alle travi di legno.
Il bollettino di Roma del 16 luglio riporta che l'incendio divampò solo poche ore prima dell'alba ed a vederlo fu un buttero che sorvegliava le vacche al pascolo sul prato sotto le mura del monastero. Il buttero corse ad avvisare il fattore dei monaci Cassinesi a cui era stata affidata la cura della Basilica a dare l'allarme furono due chierici che dopo avere invano cercato di arginare il fuoco “ con sommo rischio della loro vita, si recarono sul campanile per suonarvi le campane a martello, onde sollecitare aiuto ...”.
Il grande ritardo con cui ci si accorse del fuoco fu dovuto al fatto che durante l'estate i monaci si trasferivano nel palazzo di San Callisto in Trastevere per sfuggire al clima afoso e favorevole alla malaria della campagna ostiense. I monaci arrivarono alla Basilica solo alle nove del mattino. I pompieri erano nel frattempo partiti dalla loro caserma in piazza di Sant'Ignazio con tre carri a cavalli, di cui due trasportavano le pompe da incendio mentre il terzo era caricato con vari attrezzi. Quando arrivarono trovarono sul luogo i dragoni pontifici che controllavano l'area per evitare che si avvicinassero malintenzionati. I pompieri capirono che il fuoco era ormai inarrestabile, riuscirono comunque a tagliare il fuoco nel lato verso il monastero che riuscì così a salvarsi.
Le fiamme continuarono per cinque ore, alla fine non solo era bruciato il tetto di legno ma i crolli de lle tegole fecero cadere le pareti della navata mediana ed alcune colonne. I danni alla basilica furono enormi; la porta di bronzo che veniva da Costantinopoli “squagliata percorrea l'infuocato terreno” mentre delle 40 colonne della navata centrale caddero a terra quelle centrali del lato sinistro trascinate dal peso del muro su cui erano ricadute le tegole una volta bruciate le travi. Tutto il lato sinistro della basilica ebbe gravi danni sia alla navata di mezzo che a quella più esterna, mentre le navate di mezzo a destra ebbero danni molto meno gravi e fortunatamente non furono colpite dal fuoco le colonne del transetto e si salvò il ciborio di Arnolfo di Cambio.
Le cronache raccontano che il fumo era ancora visibile a quindici miglia di distanza.
Anche se l'incendio apparve sin da subito “colposo” ed imputabile alla disattenzione e superficialità dei due operai, nei salotti e nelle piazze di Roma si indicarono molte altre cause: poteva essere stato un attentato dei carbonari, oppure erano stati gli ebrei oppure una congiura del “sovversivo” banchiere Rothschild che in quei giorni si trovava a Roma, ma ci fu chi non escludeva una punizione divina per una città sempre più laica che doveva essere riportata al “timor di Dio”.
Molti furono gli artisti del tempo che accorsero per disegnare la rovina della grande Basilica e tra questi anche Luigi Rossini che ne trasse quattro disegni da diversi punti di vista.
L'incendio colpì molto l'animo e la fantasia degli uomini del tempo e nemmeno troppo inaspettate risuonarono le parole scritte da Stendhal che in quella distruzione ravvisò qualcosa di grandioso: ...
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di M.L. ©RIPRODUZIONE RISERVATA (Ed 1.0 - 18/07/2018)