Biblioteche di Roma Imperiale
Le parole scritte dell’antica Roma erano su supporti che purtroppo non si sono salvati con il passare del tempo soprattutto per la loro intrinseca fragilità; i libri si chiamavano volumina ed erano rotoli in carta di papiro che per la loro struttura dovevano essere maneggiati con attenzione e questo fu il solo supporto almeno fino al II sec. d.C. quando venne introdotta la pergamena, realizzata in fogli quadrangolari che venivano chiamati codex. I volumina erano prodotti ricopiando i manoscritti degli autori e per questo presso vi erano della scholae o pedagogium dove agli schiavi più brillanti veniva insegnato a scrivere per poi impiegarli proprio nella copiatura delle opere letterarie.
Si stima che degli autori e dei testi antichi sono arrivati a noi solo il 10% degli scritti della letteratura romana e l’1% di quella greca, quindi un immaginario catalogo di oltre 10.000 autori ed un numero incalcolabile di opere che riempivano gli scaffali delle antiche biblioteche i cui tesori andarono dispersi o distrutti alla caduta dell’Impero Romano.
Le prime biblioteche di Roma furono create nel III sec. a.C. per iniziativa ed uso dei privati a differenza di quanto era accaduto nelle civiltà orientali, per prime quelle sumere ed egizie dove già nel XIII sec. a.C nacquero come biblioteche pubbliche o piuttosto archivi dove sui papiri o sulle tavolette di argilla venivano registrati dati e fatti della vita amministrativa. Dal VII sec. a.C. furono le città greche ad istituire delle biblioteche con la funzione di raccogliere gli scritti relativi al sapere; dopo la conquista macedone dell’Egitto ad Alessandria fu realizzata la biblioteca che per grandezza e numerosità dei testi era affiancata da quella di Attalo I re di Pergamo, la mitica Biblioteca di Alessandria che sembra avesse settecentomila volumina.
A Roma le famiglie più illuminate cominciarono a raccogliere libri quale mezzo necessario per conoscere la cultura greca; i libri arrivavano con i precettori greci che istruivano la gioventù ma soprattutto per interessamento degli esponenti delle famiglie patrizie. Emblematico l’episodio degli Scipioni che avevano raccolto intorno a sé un gruppo di intellettuali che promuoveva la cultura greca; quando Lucio Emilio Paolo Macedonico conquistò la Macedonia aveva con sé i due figli Scipione Emiliano e Fabio Massimo Emiliano che chiesero al padre di poter portare a Roma la Biblioteca di Pella che era stata iniziata nel V sec. a.C. da Archelao I e che era stata arricchita da Antigono II Gonata. I testi greci portati a Roma fecero parte della Biblioteca che il circolo degli Scipioni metteva a disposizione dei suoi affiliati che volessero consultarla; su quei testi studiarono l’oratore Gaio Lelio, l’annalista Gaio Fannio, il giurista Rutilio Rufo, il poeta Terenzio ed altri.
Nel II secolo a.C. erano molti i patrizi che avevano una biblioteca privata, comunque sempre a disposizione di chi volesse consultarla; una delle biblioteche romane private più note è quella di Pomponio Attico di cui si era letteralmente innamorato Cicerone (Epistole Lib. 1,4) al punto di scrivere al suo amico:
Libros tuos, conserva, et noli desperare eos me meos facere posse: quod si assequor, supero Crassum Divitiis, atque omnium vicos et prata contemno
Non vendere i tuoi libri e non disperare che possa farli divenire miei, per la qual cosa ti assicuro, posso superare Crasso in ricchezza e disprezzare altri beni come i palazzi ed i terreni.
Attico non si limitava raccogliere i volumina ma aveva al suo servizio degli scribi (librarii), e dei correttori (anagnostae) che ne "espungevano" gli errori, che avevano il compito di copiare i manoscritti. Come attesta Cornelio Nepote (Att. 13, 3), Attico disponeva di un notevole numero di schiavi istruiti, nati e ammaestrati in casa: pueri litteratissimi, anagnostae optimi et plurimi librarii ...
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di M.L. ©RIPRODUZIONE RISERVATA (Ed 1.0 - 20/04/2016)
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