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Antiche maledizioni: Tabulae defixionum


Quando morì Germanico, erede di Augusto e figlio di Druso ed Antonia, molte erano le chiacchiere sulla sua morte inaspettata a soli 29 anni. Anche Tacito racconta che nella sua casa dovevano esser stati messi in opera sortilegi di magia nera poiché erano state trovate ossa seppellite sotto i pavimenti e tavolette di bronzo su cui erano scritte formule magiche e maledizioni contro Germanico.
Si trattava delle tabulae maledictoriae o tabulae defixionum, una pratica molto diffusa, che a volte venivano riportate alla luce durante gli scavi archeologici.
La defixio era un maleficio per cui di dedicava il nemico alle divintà degli Inferi per farlo soffrire o morire. Su una tavoletta di piombo (o altro materiale resistente) si scriveva la formula che invocava la rovina e la morte: "Consacro, seppellisco, elimino dal cospetto degli uomini ..." a cui seguiva il nome di chi si voleva maledire, dopo la tavoletta si metteva in una tomba, in un pozzo o comunque in un posto nascosto e si fissava con un lungo chiodo.

La parola defixio significa appunto "piantare un chiodo" e per estensione il significato passò alla pratica di arrecare danno a qualcuno attraverso un sostituto come le tavolette; tuttavia vi è un' accezione più intima della parola: fissare, paralizzare, inchiodare qualcuno per renderlo impotente a reagire e a difendersi dalla maledizione lanciata.
Il nome della persona, il defisso, doveva essere ben chiaro e seguito dal nome della madre e a volte oltre la formula vi erano altri segni magici o la barca di Caronte; chi non scriveva ben chiaro il nome della vittima rischiava di riversare su di sé la maledizione.
La maledizione poteva avere anche delle specifiche, ad esempio si poteva maledire l’intelligenza, oppure una parte del corpo o il patrimonio del nemico.

Nella tabulae di piombo del II sec. d.C. a fianco, l’invocazione è ad un Demone (forse Abraxas) per rendere inabili i cavalli di una scuderia rivale. Ma, si ha notizia di rituali più specifici, ad esempio si poteva inchiodare la lingua di un gallo se si voleva impedire che qualcuno parlasse in tribunale.
Nell’Antica Roma, la magia è sempre stata combattuta dallo stato e già nelle Leggi delle XII Tavole erano previste pene severe per chi commetteva maleficia contro le messi e le persone; nell’81 a.C. viene emanata la lex Cornelia de sicarii et veneficii  che puniva chi praticava fatture e malocchio e nel 33 a.C., durante il secondo triumvirato, vengono cacciati da Roma astrologi e geomanti, mentre nel 16 d.C. anche maghi e matematici. Nello stesso periodo il reato di magia comincia a essere punito con la pena capitale e in epoca imperiale la magia viene assimilata al crimen maiestatis, il reato per cui furono perseguitati sia i cristiani che i druidi.

Nonostante questo i Romani non smisero di ricorrere alle arti magiche; addirittura presso il bosco sacro di Anna Perenna - ormai identificato con sicurezza nell’area dove oggi c’è Piazza Euclide - vi era un tempietto dove sicuramente si svolgevano riti magici. Ad una profondità di 10 mt. sono stati ritrovati due basamenti con incisioni che indicano la data del 146 d.C. e vicine sparse un numero considerevole di lucerne, alcune mai utilizzate, e 14 contenitori in piombo sigillati che contenevano figure di forme umane, fatte da cera, miele ed olio, ed infilate a testa in giù, oltre a 22 lamine di piombo arrotolate.





di M.L. ©RIPRODUZIONE RISERVATA (Ed 1.0 - 14/05/2015)